Per Renato Campana.
Testimonianze e ricordi di colleghi ed alunni

Testimonianze e ricordi di alunni, colleghi, personale scolastico, dirigenti in memoria del prof. Renato Campana.

  1. Orietta Angeletti
  2. Anna Rita Cacchione
  3. Alice e Giulia Capacci
  4. Federica Costa
  5. Elena e Silvia Ergasti Filippucci
  6. Giulia Fichera
  7. Silvia Giannini
  8. Anna Maria Mattoni
  9. Matilda Mihaj, III A
  10. Elisa Poltronieri, III A
  11. Alessandro Porcu
  12. I ragazzi della III B
  13. Roberto Incatasciato
  14. Anna Valentina Magrini
  15. Maria Rita Micanti
  16. Savino Savini
  17. Anna Maria Serpentino
  18. Claudia Valecchi

Mi piace ricordare Renato Campana come cittadino, come professore e come amico. È giusto farlo, su questi fogli del giornalino scolastico della nostra scuola, sapendo come il giornale – tutti i giornali – sia stato, sicuramente, il luogo principale delle sue passioni civili e intellettuali.
Di Renato mi tornano in mente tre immagini. Quasi tre fotografie.
Era la sera del 26 settembre 1997, quella del terremoto, ero andato a scuola per verificare se la vecchia Scuola Media Piermarini aveva subito danni e quali ferite il sisma avesse inferto al centro storico. Saranno state le nove di sera. Quasi notte, strade deserte, nessuno in giro. Nei pressi del quadrivio vedo avanzare, con il suo passo felpato e altalenante, e con il suo carico di macchine fotografiche, l’unico abitante di una città spettrale e spopolata: Renato Campana. Scambiammo poche battute, condividendo il timore che il centro storico non si sarebbe più risollevato e, al tempo stesso, la speranza che i timori sarebbero stati smentiti dalla voglia di reagire dei folignati, capaci di grandi cose, anche di restituire vita ad una città morta, quando abbandonano lo sport cittadino della critica ad ogni costo. Era quella la sua passione civile, la voglia di documentare la città in tutti i suoi momenti, per migliorarla, per renderla più solidale, più trasparente e visibile a tutti, più giusta.
Ricordo il professor Campana quando, tornato a scuola agli inizi di quest’anno, dopo mesi di assenza e con il corpo già ferito dalla sua malattia, seduto su una sedia a rotelle, era venuto a scuola, con la scusa di portare documentazione burocratica e con la voglia, questa sì, vera, di vedere i colleghi, la scuola e, soprattutto, i suoi alunni. Gli si erano, infatti, affollati intorno, i ragazzi di una delle sue classi, lo avevano circondato, restituendogli l’affetto, l’attenzione, la cura e l’allegria da lui ricevuti. Subito si era messo a scherzare con loro, a scambiare battute, dicendomi: “Preside , se devo fare una supplenza, posso fermarmi!”, dandomi del “lei”, nonostante la lunga amicizia, come era solito fare sul filo dell’ironia e del rispetto istituzionale.
Ricordo quando, incontrandolo in qualche bar del centro, che lui conosceva bene e del quale apprezzava i prodotti, cercavo di rimproverarlo. Era impossibile rimproverare Renato; con uno sguardo, consigliandoti il pasticcino migliore, sapeva trasformare il rimprovero in complicità indulgente. Più tardi, poi, cercavamo di recuperare e facevamo discorsi sui suoi malanni, su come il suo corpo, troppo a lungo trascurato, avesse bisogno di attenzioni e di cure. Il corpo, che sa giocare scherzi crudeli e colpirci in quello che abbiamo di più caro: gli occhi, che ci servono per vedere, capire, fotografare; le mani, che ci permettono di rappresentare e descrivere il mondo, esercitando tutto il potere critico e creativo della mente; le gambe, che ci trasportano dentro gli avvenimenti e ci fanno incontrare coloro con i quali scambiamo parole, affetti, idee.
Ricordo, infine, di aver pensato con angoscia e paura come avrebbe reagito alle mutilazioni subite, lui che sembrava così indifeso e vulnerabile, e di come, invece, fossi rimasto ammirato e sorpreso dalla determinazione e dalla serenità con cui affrontava la sofferenza e il male. Perché , poi, sorprendersi? Come se le persone buone, gentili, sensibili, discrete, fossero meno in grado di essere forti, dignitose, capaci di sopportare, con animo sereno e senza lamenti, tutte le difficoltà. che la vita ci presenta. Avevi sempre qualcosa da regalare a tutti: un disegno, una cartolina, una foto, un pennarello. Ci hai regalato molto di più. Il tuo affetto, la tua serenità e la tua forza. Grazie Renato. Ciao
Roberto Incatasciato

Pensiero diverso
e tracce inseguite
senza meta
tu sei rinato
per me
e nato re
fra dolci risuoni innamorati di luce

Alessandro Porcu

Ciao Prof.!
Disegnare non è stato mai un gran problema x me, ma colorare un po’ sì…però ce l’ho messa tutta!
La tua materia era ed è rimasta l’unica in cui ho una sufficienza e qualcosa in più. Bèh, ora vado bene anche a Psicologia…..
Questa (che ho ritratto nel disegno) è la mia vita, la mia gioia grande: la piccola Giorgia, mia sorella, è nata il 5 Settembre 2006. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto, tanto, che tu la conoscessi…e le insegnassi, come hai fatto a me e a mio fratello. Io ci proverò a farle amare il disegno, come tu hai insegnato a noi che, come dicevi tu, eravamo i tuoi “figli”…(come lo erano tutti i tuoi allievi).
Ora che sei lassù, dove, dicono, tutto è più bello, guardaci e proteggici…aiutami! Ora disegnerai tra gli angeli, e farai il professore a tutti i ragazzi che sono lì, e forse anche il giornalista e il fotografo.
…Stamattina ho girato tutta Foligno x trovare l’edizione speciale e, quando l’ho trovata, non me l’hanno voluta dare…
Comunque rimani sempre nel mio cuore, tu e tutto ciò che mi hai insegnato con le parole e con i silenzi.
Un giorno mi piacerebbe, davvero, vedere le tue fotografie, che sembravano “vive” e i tuoi magnifici quadri; se quel giorno verrà, sarà il giorno più bello, perché rivedrò un pezzo del mio più caro, fantastico professore (sempre che quando incontrerò tua moglie, non mi verrà talmente tanto da piangere da fuggire via).
Sei sempre stato il migliore dei professori, gentile, altruista, buono con tutti, proprio tutti, sorridente, sempre con mille cose da fare, con la mitica macchina fotografica al collo, con la custodia verde, blu e arancione, superimbottita per non correre rischi…e poi, dopo scuola, via x Foligno a scoprire i misteri della tua città!
Tu ironicamente ti definivi una “talpa”, e io dico: “ Magari tutte le talpe (chi non vuol vedere) vedessero quello che vedevi tu, con il cuore e con gli occhi!”
CIAO Professò…
Federica Costa (alunna della mitica III C, 2002/2003)

Ringraziamo Renato per tutte le opportunità regalate ai nostri ragazzi. Insegnando a loro, ha mostrato, anche a noi amministrativi, che arte, passione, cura, umiltà e cuore, sono possibili insieme, che c’è sempre una chiave per poter rendere leggere le cose, se l’animo è solido e grande.
Grazie per averci saputo sorprendere ogni giorno, per aver fermato, con le tue foto, piccoli e grandi momenti del nostro viaggio. Ci hai regalato immagini semplici e vivide, che riuscivano a farci vedere le cose con i tuoi occhi generosi; tanti gesti affettuosi, a cui ci sembra di non aver mai contraccambiato abbastanza.
Gli amici della Segreteria

È veramente difficile usare ancora parole per raccontarti, perché tu sei di più: sei un pensiero, che si fa via via più sereno e dolce, quando ricordo i tuoi slanci di generosità verso tutti, quando risento la tua R strisciante, che alterava in modo cosi divertente certi nomi, quando vedo la tua fisicità sempre carica di tutti quegli elementi, che ti permettevano di esprimerti meglio, quando penso alla tua ironia nel raccontarti, alle tue convinzioni mai urlate; sei un pensiero melanconico, che mi trasmette però tanta forza, quando ti vedo così dignitoso e coraggioso nell’affrontare quelle difficoltà della vita, che ti hanno messo così duramente alla prova.
Alla fine di questo anno scolastico 2007-2008, nel salutarti, caro Renato, ti dico: piacere d’averti conosciuto! Ci incontreremo spesso, nei miei pensieri, appunto! Con affetto infinito.
Anna Maria Mattoni

Scrivere qualcosa sul professor Renato Campana è troppo difficile per me. Proviamo allora a separare le parole:
Campana: l’intellettuale…altri ne hanno parlato con maggior sapienza.
Renato: l’amico…Non c’è nulla di segreto, tuttavia nulla posso dire: Renato aveva una concezione quasi sacra della sfera personale di ogni uomo, anche se proiettata in un sistema di relazioni assolutamente aperto: parlare di lui, della sua vita, di esperienze vissute insieme, equivarrebbe a tradirne la memoria.
Il professore: ecco, ci siamo. Questo è un giornale scritto da e per ragazzi; ringrazio quindi la Redazione per avermi dato la possibilità di rivolgermi soprattutto agli alunni delle attuali terze, che lo hanno avuto come insegnante.
Sappiate che, quando vi faceva lezione, quando mi mostrava i vostri disegni, il professore era già molto malato, anche se cercava, in ogni modo, di nascondere la sofferenza fisica.
Quando valutava l’intensità del colore o analizzava lo sviluppo del segno, per intuirne la dinamica, la sua vista si era oramai estremamente ridotta, eppure lui “vedeva” molto più di me, perché, oltre i pigmenti, al di là delle matite e della carta, il professore inquadrava qualche frammento della vostra anima.
Ogni volta che ci siamo visti o sentiti, durante la sua assenza dalla scuola, il professore mi ha chiesto notizie, secondo un ordine preciso:

  1. di voi ragazzi;
  2. di me;
  3. dei colleghi, del preside e del personale della scuola;
  4. di amici comuni, che non vedeva da tempo.

Di Renato parlava soltanto dietro esplicita richiesta.
Forse, a torto, nella sua umiltà, lo considerava meno interessante di voi, di me, di tutti gli altri.
Savino Savini

Conobbi il professor Renato Campana intorno all’anno scolastico 1998/1999, quando, all’epoca, frequentavo la terza classe della Scuola Media Piermarini.
Quando il professore entrò, per la prima volta, in classe, mi diede subito la sensazione che fosse un insegnante “sui generis”, non incuteva timore, anzi cercava di metterci a nostro agio.
Era un professore alla pari con gli studenti, vestiva in modo giovanile, con uno stile proprio, direi alternativo e controtendenza. Non portava la tipica borsa da professore, ma io lo ricordo con uno zaino stracolmo di strumenti di educazione artistica e il giornale in mano.
Ma un altro strumento che non lasciava mai era la macchina fotografica. Le foto erano la sua passione.
Infatti nelle numerose manifestazioni, che avvenivano all’interno della nostra scuola, il professore era sempre pronto a cogliere l’attimo e ad immortalare quei memorabili momenti. Era un professore che amava insegnare, amava l’arte, in qualsiasi sua forma. Con lui la lezione era interessante, unica nel suo genere, perché egli non si soffermava solo nello spiegare la pagina del libro, ma sapeva improvvisare, partendo da un disegno che riproduceva lui stesso, per poi invitarci a ripeterlo, con diverse tecniche artistiche, utilizzando l’acquerello, la tempera, i pastelli, i colori ad olio e la china. Non mi dimenticherò mai le sue preferenze per gli artisti impressionisti e in particolare per l’artista Matisse e “L’urlo” di Munch, che erano i suoi argomenti preferiti.
Era un insegnante che non aveva né pregiudizi né simpatie per qualche studente in particolare, ma ci trattava tutti allo stesso modo e ci difendeva sempre, nonostante fossimo una delle classi più indisciplinate di quegli anni. Non potrò mai dimenticare quando mi nominò, per la prima volta, sua assistente, perché, purtroppo, ci ripeteva sempre che la sua vista non era più buona come prima (infatti, quando faceva l’appello, faceva fatica a leggere i nomi di ognuno di noi…). Pertanto mi assegnò dei compiti importanti, di grande responsabilità, come, per esempio, segnare le assenze dei miei compagni di classe. Ero diventata la sua assistente, perché affermava che ero una ragazza affidabile e molto riservata: gran parte della sua lezione dovevo dedicarla ad aiutare il professore a svolgere i suoi compiti e, nell’altra parte della lezione, ritornavo al mio banco.
Tanti ricordi mi vengono in mente, di quel periodo, ma non mi potrò mai dimenticare il giorno in cui andammo, con la mia classe, al suo matrimonio, per salutarlo. Fu una giornata memorabile! Finalmente vidi, per la prima volta, il professore senza la sua inseparabile macchina fotografica, insieme a sua moglie, nel momento in cui venivano immortalati da videocamere e macchine fotografiche di altri.
Vorrei ringraziare il professore, per avermi aiutato a credere innanzitutto in me stessa e nelle mie capacità artistiche e ad uscire da quella timidezza, che non mi permetteva di esprimere con determinazione e coraggio le mie idee. Gli sarò per sempre grata per quello che ha saputo insegnarmi.
Claudia Valecchi, ex-alunna sezione B

Macchina fotografica, grandi e spessi occhiali ed una voglia di vivere, che contagiava tutti… così ricordiamo il professor Campana, il nostro tanto caro e amato professore.
Quanti sorrisi, quanta allegria, quanta spensieratezza in quelle due ore del sabato mattina! Con la sua spontaneità e la sua genuinità riusciva a rendere divertente ogni lezione, senza mai far pesare su di noi quelle che potevano essere le sue preoccupazioni, inevitabili, data la malattia, che prendeva sempre più spazio nella sua vita.
Vogliamo ricordare, qui, con tanta emozione, quel primo sabato di scuola alla Piermarini, quando, per la prima volta, lo incontrammo. Si sa come ci si sente in quei momenti, nei primi giorni, in una nuova scuola, in un ambiente del tutto sconosciuto. Poi entrò in classe lui, si presentò con quella “R” strisciata e lo sguardo da bambino e ci fece sentire a casa, ci trasmise quel calore che tutti gli altri professori non erano riusciti a darci! E da lì, ogni settimana, aspettavamo, con impazienza, il sabato mattina, quando, con la sua valigetta blu, si presentava pieno di idee, per i concorsi a cui ci faceva partecipare, con tanto entusiasmo.
Di Campana si poteva immaginare tutto, ma che fosse malato, molto malato, proprio no!
Ed invece un giorno, con la stessa fedele macchina fotografica in spalla e quel suo immancabile sorriso, fu proprio lui a dirci: “Ragazzi, me ne vado”… ad un tratto i nostri volti non gioivano più, restammo lì fermi, senza dir niente. Sapevamo che non avrebbe mai voluto lasciare noi e la scuola, ma ne fu costretto. Ma quel suo modo di parlare con la “R” strisciata, quei suoi gesti goffi e tremendamente buffi e quel suo buon umore, quelli no, non ci avevano abbandonato. Purtroppo, però, quel suo arrivederci, diventò quasi un addio: lo vedevamo sempre più raramente, ma ogni volta era per tutti una grande gioia. Passò del tempo e venimmo a sapere che stava peggiorando, poi migliorando, poi di nuovo peggiorando. E intanto un altro anno passò, senza di lui a scuola, e tutti ne sentivano la mancanza; passarono anche gli esami di terza media ed ognuno di noi prese la propria strada. Qualcuno lo ha incrociato, poco prima della sua scomparsa, all’uscita dalla scuola, e quel sorriso era lì, come c’era sempre stato, anche quando la vita gli stava voltando le spalle. Poi, un giorno di primavera come tutti gli altri, quella notizia… in qualche modo alcune delle nostre strade si riunirono, e tanti bei ricordi ci tornarono in mente. Capimmo che non avevamo perso solo un professore, ma anche un amico.
Ora quel suo sorriso è ciò che rimane di lui nei nostri cuori e, magari, a chi ancora capiterà di camminare per i corridoi della G. Piermarini, verrà il desiderio di sentir risuonare di nuovo la sua risata, dall’aula di Educazione Artistica… ma questo è solo un triste, ma, in fondo,d anche piacevole ricordo.
Grazie Prof!
I ragazzi della terza B, 2006/2007

Capita spesso di sentire brutte notizie, ma la sua, caro Professore, ci è arrivata così, inaspettata e agghiacciante, se pur nella sua attesa.
Pochi, vaghi ricordi ci riportano a lei, ma tutti così allegri, così spensierati: tornano in mente le sue battutine, la sua simpatia nel regalarci le merendine, quelle sue scale cromatiche che ci venivano così imperfette. E la sua macchinetta fotografica, inseparabile dalla sua borsa, che non la abbandonava mai.
Pochi ricordi, ma indelebili, nella loro semplicità.
Professore non la dimenticheremo.
Elisa Poltronieri, III A, 2007/2008

Chi era Renato?
Non ci sono parole adeguate, per descrivere un amico come Renato ed il sentimento profondo che a lui mi legava. Un sentimento di amicizia, nato, quasi per caso, il 15 Agosto 1991, quando, facendo servizio – come volontaria della C.R.I. – presso la Caravan Stop, lo incontrai per la prima volta nelle sue vesti di giornalista, venuto a fare una chiacchierata, almeno così pensavo.
Di lì a poco lessi, con sorpresa, un articolo su di me e sulla mia attività di volontaria.
Ricordo ancora il suo volto pacioso, quando, incontrandomi, esclamava: “Ciao, carissima, come stai?”, colorandomi la giornata. Ed ancora, quando, a scuola, insisteva per dividere il merito di qualche attività svolta con gli alunni, anche se la mia partecipazione era stata marginale.
Ecco chi era Renato, una bella persona, generosa ed altruista, che poneva in primo piano sempre gli altri.
Renato, non udirò più la tua voce pacata ed allegra, ma ti porterò sempre nel mio cuore.
Anna Maria Serpentino

CARO PROF. RENATO
Ti abbiamo conosciuto per poco tempo, ma il tuo ricordo è ancora vivo nella nostra memoria. Ricordiamo in particolare la tua simpatia, il tuo linguaggio semplice, la “R” alla francese, il tuo modo scherzoso e spiritoso di rapportarti con noi, il tuo buon umore, che ci metteva allegria e il timbro “personale” sui nostri disegni. Caro “prof. Renato” certamente sarai sempre presente nel nostro cuore e speriamo che anche tu, da lassù, ricorderai e veglierai su di noi.
la classe IIIB, 2008

Per il Professore “Renato Campana”
Io ho avuto il Professore e ne sono stata tanto contenta… perché, tra tutti, era il migliore, mi insegnava tantissimo lui, ci spiegava la mia materia preferita, cioè Artistica. Io adoro disegnare, e mi sono più interessata, quando il Professore mi ha fatto vedere i suoi magnifici disegni. Aver scoperto che l’uomo, che mi ha fatto vedere la bellezza dell’Arte, non ci sia più, mi fa stringere il cuore, ci sto male io e tutta la scuola, anche quelli che non lo conoscevano; lui era il miglior Prof. che io abbia mai conosciuto, era simpatico, ti aiutava in mille modi diversi. Io voglio dire solo una cosa: quando ho saputo che non c’era più, mi sono messa a piangere, e mi sono fatta una promessa, che ogni mio disegno lo avrei dedicato a lui, perché è grazie a lui che io riesco a disegnare così bene, cercherò di migliorare ancora, e di riuscire a diventare come lui, il mio magnifico Professore.
Matilda Mihaj, III A, 2007/2008

Al mio prof. Renato Campana
Sono passati quasi 10 anni, da quando lasciai la scuola media e, con essa, le figure più importanti che mi accompagnarono in quel periodo.
Tra queste, quelle di un uomo che, al primo impatto, poteva risultare timido, taciturno. In realtà non era affatto così. Era una persona con una vitalità immensa e con una gran gioia e voglia di vivere.
Mi rimane estremamente dolce il suo ricordo. Il suo sguardo era sempre sorridente, sereno. Me lo ricordo camminare per le vie della città, lentamente: rispondeva ad ogni saluto, sempre con gentilezza.
Amava l’arte, amava i colori più caldi e sgargianti, ridenti. Aveva una gran voglia di farci sperimentare sempre nuovi accostamenti e contrasti di toni, di luci.
Sono sicura che uno dei quadri che a lui piacevano di più era “Guernica” di Picasso. L’avrò disegnato una miriade di volte, sempre in modo diverso.
Fu emozionante partecipare al suo matrimonio. Infatti sua moglie era la mia professoressa di Italiano e, per questo, nel periodo dei preparativi, si respirava un’aria frizzante, soprattutto durante le loro ore di lezione (tra l’altro, prima che nascesse il loro amore, abbiamo fatto di tutto perché ciò accadesse).
In questi anni, pur non vedendolo più assiduamente, mi capitava di incontrarlo. Non cambiava mai. Lo zaino pesante sulle spalle, il berretto di lana teso fino a coprire le orecchie e quella macchina fotografica, sempre pronta ad immortalare ogni avvenimento ed ogni tipo di immagine.
Me lo voglio ricordare così, seduto alla cattedra piena di fogli, mentre mi aiutava a colorare un disegno con colori vivaci.
Cristina Poltronieri, ex alunna della sezione A

È una di quelle figure che, sicuramente, non scorderò mai. Ho la sua immagine nitida e chiara nella mia testa, anzi, più che un’immagine vera e propria, ho tanti sprazzi di momenti vissuti, sensazioni, come frammenti di collage, che sembravano persi nella memoria e ora riaffiorano all’improvviso, come foglie secche trasportate da una folata di vento autunnale.
In questo groviglio di pensieri, il prof Campana è un’immagine fatta di arguzia, gentilezza e tanta profonda intelligenza, nascosta dietro gli occhiali rotondi, la macchina fotografica e il passo ciondolante, come di chi è incerto sul da farsi e vuole evitare di fare tanto baccano, per godersi meglio tutto lo spettacolo. La sua grande creatività e maestria veniva fuori ogni qual volta gli chiedevamo un aiuto per qualche disegno, bastavano pochi decisi tratti di pennarello, per creare un nuovo mondo sopra il foglio bianco da noi maldestramente tratteggiato. Le cose che ricordo sono tante, ricordo il suo modo di fare, così giusto con tutti, soprattutto con i più indisciplinati, che prendeva sempre sotto la sua ala, allo stesso tempo protettrice e vigile, per far sì che tutti stessimo con lui durante la lezione, anche quando la mente divagava verso altri pensieri. A volte voleva anche fare il severo ed alzava la voce, come tutti i professori che intendono richiamare l’attenzione nella confusione, ma il suo tono, seppur squillante, non riusciva mai ad essere così intenso da incutere timore e traspariva, sempre, bontà, da tutti i lati lo si volesse ascoltare.
Nel periodo successivo al terremoto, che ha fatto tremare la nostra città nel ’97, la nostra classe ha partecipato ad un concorso di fotografia, indetto nelle scuole di Foligno. Ricordo la mia chiassosa classe che girava per i vicoli di Foligno, per immortalare con la macchina fotografica i luoghi e gli angoli del terremoto. Era un’immagine molto buffa, giravamo ognuno con la propria macchinetta (per lo più usa e getta!), intenti a ricercare il lato artistico che giaceva nascosto in noi e andavamo fotografando di tutto, dai muratori, alla calce, alle impalcature, ovviamente capitanati dallo sguardo vigile del professore, che ci incoraggiava e cercava, in tutti i modi, di inculcarci la sua passione per la fotografia.
E poi ricordo una giornata di sole, in cui siamo stati accompagnati dal prof Capponi, in qualità di supplente, ad un avvenimento davvero straordinario, il matrimonio del prof Campana!! Mi piace terminare queste mie divagazioni in questa maniera, ricordando una giornata veramente felice, il prof Campana, elegantissimo, che, assieme a sua moglie, esce dalla chiesa di S. Maria Infraportas e viene letteralmente investito da una scarica di urla e di applausi, che ovviamente provenivano dal solito gruppetto indisciplinato (ma assolutamente in buona fede stavolta!!) in fermento per il matrimonio da festeggiare. Lui ovviamente si è fermato, come stupito, e ci ha rivolto un gran sorriso. Mi piace ricordarlo così.
Giulia Capacci, ex-alunna sezione B

Ora di Ed. Artistica: nel caos più totale della terribile IB (1999/2000), impressa a fuoco nella memoria di tanti prof., immagino.. Pian piano escono fuori, dalle cartelline di plastica, album da disegno, tempere, bicchieri di plastica dove sciacquare i pennelli. Il Prof. Campana entra con uno straordinario sorriso, a tracolla la sua macchina fotografica, in mano lo stereo. Ci dice: “Ascoltate la musica, disegnate ciò che essa vi suggerisce”, mentre le note della V di Beethoven ci avvolgono completamente. Ricordo ancora l’iniziale imbarazzo nell’intingere la punta del pennello in uno dei colori già spremuti. A nessuno di noi veniva chiesto di disegnare un pallone da calcio, un cesto di frutta o un paesaggio autunnale. Potevamo disegnare tutto e niente, ma sempre ascoltando noi stessi, pervasi da quei suoni meravigliosi. Quel giorno tutti disegnammo e tutti, artisti improvvisati, fummo fotografati con la nostra opera d’arte, immortalati nella nostra espressione di grande soddisfazione e assieme di gratitudine. Già, gratitudine, verso il nostro Professore che, senza mai ombra di rimprovero, incoraggiava le nostre mani a creare immagini dalle forme un po’ bizzarre.
Grazie Prof, per ogni sorriso paterno che faceva nel guardare i miei scarabocchi, per ogni disegno che mi hai fatto sui miei cartoncini Fabriano A4, per i rimproveri che mi faceva, quando spremevo il tubetto della tempera al centro, anziché partendo dal fondo, “come si fa per il dentifricio”, diceva lei.
Ora faccio l’università, Prof, ho preso Ingegneria Edile-Architettura e ancora oggi disegno come lei mi ha insegnato. Bèh, non disegno più per la Giornata dei Valori o per uno dei mille concorsi, che ci faceva fare, ma continuo a impugnare la matita e a fare attenzione a non sporcare il foglio.
Ora devo davvero fare da sola e cercare di completare le tavole entro la data prestabilita, sempre però con la certezza di ascoltare ancora la sua vociona e di sentire scrutare il mio foglio dai suoi occhi, nascosti dietro grandi lenti, con montatura nera.
Alice Capacci, ex-alunna sezione B

“Cittadina!”,
così mi chiamava Renato, per darmi il buon giorno, mentre salivamo sorridendo le scale che ci portavano ai nostri piani ed alle nostre aule. Alla Piermarini.
“Cittadina!” e mi ricordava il dovere primo per cui ci trovavamo lì, a fare scuola: costruire un futuro di uguali opportunità per ragazze e ragazzi che, nella loro età più difficile ed interessante, si avvicinavano al prof. Campana con calore, fiducia e rispetto, anche quando il loro chiasso si faceva sentire.
E Renato era lì, per niente turbato, pronto a scherzare, intimamente sicuro che quella vivacità era un dono. Bastava solo capirlo.
Se da giovani ci aveva uniti la passione politica per un mondo diverso e migliore, a scuola ci avvicinava la convinzione profonda che le creature che, ogni giorno, davano un senso speciale al nostro tempo, dovevano essere aiutate a conoscere e vivere la loro parte più buona e gentile, quella che sicuramente è in ognuno, se si ha la pazienza e l’arte di cercarla e scoprirla.
Solo così poteva preparare una vera cittadinanza di tutti, senza escludere nessuno. Mai.
Renato impreziosiva le idee pedagogiche e politiche con regali. Sì regali.
Il ricordo più vivo che ho di lui è la sua grazia nel donare: la foto che, per strada, ti riprendeva con i tuoi studenti, quella che ritraeva l’amica del cuore con, al collo, in un sacco di stoffa, la piccola figlia nata da poco.
E mio marito, mio figlio sono insieme, come lui li ha guardati pensando a me.
Se solo avessimo appreso un po’ della sua aria scanzonata e dolce, il suo orientamento sicuro verso azioni giuste, tutto sarebbe più facile e le nostre foto, anche se in bianco e nero, avrebbero dentro una luce speciale.
Come quelle di Renato Campana.
Maria Rita Cacchione

Ciao Renato,
provo un grande dolore, pensando che te ne sei andato.
Ricordo con piacere il tuo volto sorridente, la tua grande fiducia nel prossimo, la tua inesauribile forza nelle cose in cui credevi, nella scuola, nei rapporti con gli alunni.
La tua generosità nei confronti dei colleghi, la tua disponibilità, eri sempre pronto a dare una mano a chi aveva bisogno.
Io ti ho conosciuto come un compagno più grande di scuola, a Spoleto, all’Istituto d’Arte: eri all’ultimo anno di scuola, con il tuo carattere allegro, sempre pronto a scherzare, ma molto impegnato nelle attività della scuola, per noi eri un esempio da imitare.
Dopo qualche anno, ti ho incontrato a Norcia, come collega, ricordo che mi davi grandi consigli su come impostare la didattica e la programmazione.
Ora sono qua, nella tua scuola, nelle tue classi, ad insegnare ai tuoi alunni e cerco di immaginarti accanto a me, come un angelo che mi accompagna, che mi aiuta ogni giorno a far bene il mio lavoro, con impegno ed umiltà. Sono contenta di averti conosciuto, perché tu sei stato per me un insegnante di scuola e di vita.
Anna Rita Micanti

Chi era Renato Campana?
La gita di terza media è stata bellissima, non la dimenticherò mai! Purtroppo, però, è stato proprio quando ero in gita, che, con la mia classe, ho sentito una notizia che ha rattristato i nostri cuori, cioè non solo il mio, ma anche quello dei miei compagni: siamo stati avvisati della morte del professor Renato Campana, un docente della “G: Piermarini”, che ho avuto per poco tempo, nemmeno per la durata completa del primo quadrimestre della prima media. Esperto fotografo, il professor Campana amava insegnare la sua materia (Arte e Immagine), lo faceva con passione. Strano era il suo modo di parlare, da cui, però, comprendevi ogni capacità artistica.
L’apparenza faceva sì che, ogni volta, lui si presentasse come un uomo che avrebbe parlato di tutto, tranne che di arte, invece lui riusciva sempre a farti emozionare, attraverso il suo modo di essere, di farsi conoscere, che faceva sorridere.
Ci manca e ci mancherà, perché ha lasciato un vuoto dentro di noi. “Un pezzo” della nostra scuola se ne è andato, ma ha lasciato il ricordo nelle nostre menti, nei nostri cuori, ed ha lasciato un segno nell’aula di artistica, ora dedicata a lui, al suo nome. La sua simpatia e la sua originalità resteranno uniche e saranno quelle da cui la gente, ed i ragazzi della “G. Piermarini”, coglieranno l’esempio, imitando una persona spontanea, la cui vita rimarrà viva nei pensieri e la sua anima è e sarà lo specchio ed il riflesso della “G. Piermarini”, lungo lo scorrere degli anni. La sua morte è avvenuta tristemente e, questo dolore, per noi ragazzi, che non abbiamo avuto molto tempo per conoscerlo, ci è possibile “scorgerlo”, attraverso gli occhi dei nostri professori… Grazie, professor Campana! Ciao!
Ivan Petrini, III A 2008

PER UN PROF. SPECIALE
Oggi sto scrivendo per una persona speciale, che purtroppo è scomparsa da poco tempo: sto parlando di Renato Campana.
Il professor Campana insegnava EDUCAZIONE ARTISTICA alla scuola media G.Piermarini e ha lasciato un’impronta speciale nella formazione di tutti i suoi studenti.
Io sono molto felice di poter essere annoverata tra questi, poiché la mia fu la sua ultima classe, prima di smettere di insegnare per motivi di salute. Il professore infatti era malato, ma nessuno dei suoi studenti l’avrebbe mai potuto intuire, tanta era l’esuberanza, la frizzantezza e la passione per l’arte che permeava ogni sua lezione. Ascoltarlo spiegare “Guerninca” era uno spasso: riusciva a calare i suoi studenti nella storia travagliata di una personalità così sfaccettata, come quella di Picasso; riusciva anche a far vedere le opere d’arte sotto prospettive nuove, permettendoci, nelle riproduzioni, di reinterpretare i colori dell’opera o lasciandocela posizionare in maniera particolare.
Campana credeva fermamente nella fantasia di ogni suo studente. Erano veramente pochi quelli che riuscivano a distrarsi, ma il professore li riportava all’attenzione, scherzando e dicendo: “Wanna wanna in città e wanna wanna in campagna!”. Forse vi chiederete quale sia il senso, ma non è mai stato importante.
L’arte per Campana era anche una continua sfida, infatti faceva partecipare le sue classi a concorsi di ogni genere, stimolando la fantasia degli studenti, dando loro la possibilità di confrontarsi con realtà ben più grandi di quella scolastica.
La gioia che metteva nel fare il suo lavoro era contagiosa e le ore passate con lui erano sempre le migliori della giornata.
Certo un pezzo di carta non può riuscire a trattenere tutte le belle emozione che quest’uomo fece provare ai suoi studenti; e l’inchiostro della mia penna non sarà mai capace di dar loro una forma. Tuttavia penso che, forse, potranno imprimere l’immagine di una persona speciale, che non è giusto dimenticare.
Marta Crisanti, ex-alunna sezione B

Ciao a tutti, mi chiamo Anna Valentina, ed in questo breve pensiero vi voglio parlare di una xsona davvero speciale, una xsona che, con il suo umorismo, metteva tutti quanti a proprio agio. Mi ricordo la prima volta che lo vidi: un uomo alto, robusto, con la sua valigetta e gli occhiali, che lo rendevano simpatico anche agli occhi di chi non lo conosceva. Infatti il prof. Renato era così, simpatico, generoso, una persona che sapeva ascoltare, non era il solito professore “tutto studio e disegno”, era un amico. Mi ricordo che, quando era in classe, ogni volta che QLKN si avvicinava alla cattedra, diceva sempre la solita strana frase di cui, nei due anni che ho avuto la fortuna di essere sua alunna, non ho mai capito il significato: “Wanna Wanna in città”. Ed anche se nessuno sapeva cosa significasse, risultava una cosa simpatica e divertente. Voi penserete che, con un prof. così, non si faceva mai niente, si rideva e scherzava soltanto, ed invece vi sbagliate: il prof. sapeva farci lavorare e divertire nello stesso tempo, non so come facesse ma ci riusciva. Avrei tantissime altre cose da dirvi, che si potrebbe riempire il Secchione, ma so che non si può. Però una cosa la voglio dire: “ Prof. Renato, sei e sarai sempre nei nostri cuori. Ti vogliamo bene…
una tua vecchia Awanna
Anna Valentina Magrini, ex-alunna sezione B

“Carissima!”, è la parola gentile con cui mi apostrofavi, quando ci incontravamo al cambio dell’ora di lezione. Quel saluto era rassicurante e mi metteva il buonumore. Ricordo piacevolmente le pause dal lavoro; bere un caffè era la prassi; sempre tu ad invitare, ad “offrire” per primo, ed era una lotta con i portafogli. Gli studenti percepivano la tua profonda umanità, ti stimavano, dimostrandoti affetto. Ridevano alle battute che facevi su di loro e scrivevano che eri il prof. più simpatico di tutti. Sapevano di essere capiti ed il tuo modo di fare scuola li aiutava a diventare grandi e liberi.
Affiora alla mia mente una gran mole di disegni, libri, appunti, foto che portavi sempre con te, con leggerezza, e quel fardello era il tuo segno distintivo.
Il grande impegno che mettevi nel lavoro non era mai ostentato, al contrario, eri sempre pronto a complimenti, con animo generoso, per i successi altrui.
L’ultima volta ti ho incontrato al mercatino, con tua moglie Elena, in una giornata di sole.
Ci siamo salutati come sempre, abbiamo parlato un poco senza imbarazzo. Eri sereno ed affabile.
Allontanandomi, ho ammirato, ancora una volta, la tua grande forza morale ed ho preso più coscienza della vita. Un saluto “carissimo”!
Silvia Giannini

Lo vedevi arrivare da lontano e lo riconoscevi subito, un po’ per la sua mole e per la sua andatura “ondeggiante”, un po’ per l’esagerata quantità di borse e borsette che si portava sempre dietro, piene di macchine fotografiche e di libri. La sua immagine è ferma nei miei ricordi, probabilmente perché si distacca un po’ da quella consolidata del docente e mi riporta alla mente piccoli frammenti della quotidianità di dieci anni fa…i disegni e progetti che ci aiutava e invitava a creare, il suo registro, compilato (a volte anche da noi) con il pennarello nero, in cui le scritte esplodevano dalle caselle, dato che anche allora ci vedeva molto poco, i suoi disegni, in particolare quel modo “futurista” di disegnare i volti di profilo, e il modo in cui ti guardava, da dietro alle lenti, pronto ad ascoltarti ma anche a raccontarti i suoi interessi e le sue passioni. Principe tra queste ultime, probabilmente la fotografia…per lui ogni istante delle nostre lezioni era da immortalare, i nostri disegni, i momenti di lavoro…ma anche le nostre facce, davanti al cancello, all’uscita da scuola…qualche sua foto ce l’ho ancora, come penso molti di quelli che l’hanno conosciuto.
Io lo ricordo come lo ricordano, credo, quasi tutti quelli a cui ha insegnato…un insegnante forse un po’ buffo ma di un’intelligenza e di una sensibilità straordinarie.
Silvia Ergasti Filippucci, ex-alunna sezione D

Salve Prof.!
Sa, ieri, mi hanno chiamato e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su di lei, ed io, invece, voglio scrivere a lei. Voglio scrivere a lei, per dirle un banale ma profondo GRAZIE che non ho mai avuto l’occasione di dire.
Purtroppo, come di solito avviene, delle cose importarti ci si accorge sempre troppo tardi, quando oramai non sono più tue.
Quando lei era ancora il mio prof., io, come d’altra parte tutti i suoi alunni, aspettavo con ansia le sue ore di lezione, perché erano sempre allegre e divertenti, le seguivo con grande felicità, senza, però, rendermi conto della loro importanza. Adesso che sono diventata “grande”, vorrei tanto avere l’occasione di poter ascoltare ancora una sua lezione, perché, sono sicura, che riuscirei a catturare molto di più di quanto io non abbia fatto, ma so che non è possibile e, così, porto con me quello che lei mi ha insegnato, che non è la distinzione tra colori primari e secondari, caldi e freddi, o come si tiene una matita o si disegna, certo anche questo, ma quello che mi ha insegnato è stato esprimermi attraverso il disegno, mi ha insegnato ad essere curiosa di ciò che mi circonda, mi ha insegnato, o meglio mi ha trasmesso, la passione, sì verso l’arte ed il disegno, ma verso tutto ciò in cui si crede.
Diventerò, spero, un architetto e lei sarà sempre la base della mia formazione ma soprattutto della mia passione. Metterò in campo e farò mia la curiosità che lei mi ha insegnato e cercherò di esprimermi con i miei disegni, e le prometto che disegnerò meglio che posso e che ricorderò, comunque sempre, quali sono i colori primari!
Elena Ergasti Filippucci, ex-alunna sezione D

Caro Renato,
è difficile fermare sulla carta tutte le belle sensazioni ed immagini che riaffiorano pensandoti. Sono tante, tutte dolcissime e danno una grande pace allo spirito.
Credo che tu abbia compiuto un miracolo: la Semplicità del tuo animo, dono sapiente, insegnamento grande, ha fatto innamorare tutti noi.
Quando viene la morte, è naturale, per chi rimane, ricercare, nel ricordo, la persona cara che non c’è più. Con te questa ricerca ha qualcosa di particolare, appunto di miracoloso: ognuno, nel farla, sente l’orgoglio e l’onore di averti conosciuto e, nel ripensarti, non cede mai allo sterile struggimento della memoria, ma sente qualcosa di più, che dà forza.
Di immagini, nella memoria, ne ho tante: ti rivedo in classe, collega e professore di Alice e Giulia, insegnante impegnato, ti rivedo nelle infiorate per Santa Rita, infagottato di macchine fotografiche e borse in giro per la città, nella nostra scuola intento a fotografare i grandi eventi ed i piccoli momenti, che diventavano importanti, proprio perché tu li fissavi, per regalarli agli altri: rivolgevi, così, attenzione agli uomini ed alla vita!
Ho un rimpianto, quello di non esserti venuta a trovare abbastanza. La vita ti prende con i suoi impegni ed affanni, spesso si corre dietro cose di minor valore rispetto ad altre infinitamente più importanti, come far visita ad amici. L’ultima volta che ci siamo visti era a casa tua, ero con Enzo e c’era Elena, ci hai accolto con il tuo grande sorriso, buono e sincero. Eri sulla carrozzella ma la sofferenza della malattia non doveva essere la prima cosa da raccontare ad amici, non per scelta orgogliosa od ostentazione di grande forza d’animo: sei Mite anche in questo, Renato, e ti affidavi al destino della tua esistenza con “religioso” rispetto.
Ci hai mostrato, nel tuo studio, i tuoi ultimi disegni, me ne hai regalato uno: attorno alla tua foto, disposta a destra del foglio, fanno da corona i tuoi elementi grafici ricorrenti, volti duri di profilo, per lo più di militari, braccia e mani tese ed aperte, una grafica serrata che chiude la tua figura, le impedisce di volare, dominante il colore rosso. Ci hai mostrato molti disegni, quel giorno, ripetevano le stesse figure, ogni volta in modo diverso. Mi hanno colpito molto quei tratti, l’ossessione della violenza, che serra ed incastra l’Uomo, il povero Cristo sulla croce, che s’intravede al centro di molti disegni, la sofferenza, dono forse non sterile. Ci sono poi tante figurine colte“di spalle”, sembrano angeli. Così ti ho interpretato.
Caro Renato, Grazie di tutto cuore.
Orietta Angeletti

IL SALUTO DI UNA DEI SUOI NUMEROSI ALUNNI AD UN PROFESSORE DAVVERO SPECIALE

È raro trovare persone come Renato Campana nella vita perché persone così sono rare. Se c’è qualcosa di più prezioso, nella scuola, di ciò che si può apprendere è amare ciò che si può apprendere e sicuramente era questo sentimento che ci ispirava il professore a lezione; inoltre aveva instaurato un buonissimo rapporto con ognuno di noi e questo forse è ancora più prezioso e sicuramente non comune. Gli volevamo tutti molto bene. Ricordo di quando ci chiese di fare una ricerca sul puntinismo…era la prima volta che andavo in biblioteca e per questo mi sentivo adulta, era bello impegnarsi in qualcosa di interessante, soprattutto se richiesto da qualcuno che sapevi che avrebbe apprezzato di sicuro almeno il tuo impegno e la buona volontà. Sicuramente se ora potessi parlargli gli esprimerei tutta la mia gratitudine per i suoi insegnamenti e la sua grande umanità e generosità, che tutti conoscono e che esprimeva anche con piccoli gesti quotidiani, anche con noi alunni che abbiamo avuto la fortuna di averlo per insegnante.
Una volta, ricordo, per un disegno, mi prestò una matita dal segno morbido, B6; mi piaceva talmente tanto che alla fine me la regalò, capitava spesso che ci donasse il suo materiale per i disegni, era di una generosità quasi incontenibile , era una persona buona; beh, comunque io quella matita ce l’ho ancora e me lo ricorderà sempre. Forse sono ricordi piccoli questi, ma hanno comunque gran valore per me, come un dipinto o una foto indelebile dai colori sempre vivi, che rispecchia un po’ la natura serena e variopinta del suo animo gentile.
La mia speranza è che lui sapesse quanta stima e affetto noi alunni avevamo e abbiamo per lui, lo spero davvero di cuore.
Giulia Fichera